Harlem: una storia sconosciuta
di Frank de Falco
Famosa per essere infame (famous for being infamous), Harlem continua ad essere nell’immaginario collettivo, quello che è stata per alcuni decenni del 20° secolo: il tipico ghetto americano.
In altre parole, ancora molti miei clienti oggi si aspettano di visitare uno slum, un quartiere malfamato, i bassifondi di New York.
Considero parte del mio lavoro estirpare queste nozioni anacronistiche. Mi piace invece mostrare quella che è la Harlem di oggi: un quartiere vibrante, sicuro, ospitale, multi etnico con un passato comunque più glorioso che malfamato, come vedremo.
È innegabile che in passato, principalmente dagli anni 50′ agli anni ’90, quando l’utilizzo di droghe raggiunse proporzioni endemiche, ci fu un alto tasso di criminalità.
Allo stesso tempo, le autorità comunali hanno fallito nel preservare le peculiarità di Harlem, incluso il più grande numero di edifici in Brownstone di Manhattan, grandi Avenue, Chiese splendidamente arredate, ecc…, dalla degenerazione in un pezzo urbano desolato (ad un certo punto negli anni ’70, la città di New York arrivò a possedere circa il 70% delle case di Harlem).
Il declino avvenne quando la popolazione di Harlem consisteva soprattutto di persone di colore e il razzismo portò ad una marginalizzazione dell’area ancora maggiore, creando un circolo vizioso di povertà cronica, disoccupazione, criminalità e uno dei tassi più alti al mondo di mortalità infantile.
Tutte queste componenti hanno contributo alla nomea di Harlem e a renderla un luogo da disprezzare per la White America.
La Harlem prima del periodo violento
Ma non è sempre stato così. La storia degli afro-americani di New York, risalente fino al 17° secolo, è stata in gran parte una fuga dal razzismo, dai bassifondi violenti di Lower e Midtown Manhattan, quando a quel tempo Harlem era un paesaggio bucolico fuori città.
Ci fu un costante spostamento verso nord fino al raggiungimento di Harlem a partire dal 1904. Una volta qui, gli afro-americani di New York furono raggiunti dai neri provenienti dalle zone rurali degli Stati del sud e dai Caraibi, in quella che fu denominata “The Great Migration”, la grande migrazione, uno spostamento di massa che ha interessato fino alla metà del 20° secolo.
Nel corso del 20° secolo ad Harlem c’erano delle ottime case a prezzi abbordabili. L’arrivo della ferrovia sopraelevata negli anni ’80 del 1800, finalmente rese agevole per i residenti raggiungere le zone commerciali, localizzate a Lower e Midtown Manhattan.
Gli speculatori immobiliari intuirono fin da subito che questa zona di Manhattan sarebbe potuta diventare una sorta di prototipo di una tipica zona suburbana, in cui i residenti potevano andare e tornare al lavoro in giornata.
E in effetti le successive ondate migratorie di irlandesi, italiani e ebrei tedeschi lo confermarono.
Ciò portò ad una frenetica speculazione che condusse alla costruzione delle bellissime “brownstones”, – ville a schiera unifamiliari fatte di arenaria marrone – e spaziosi appartamenti, decisamente più vivibili rispetto agli alloggi del Lower East Side.
I costruttori furono troppo ottimisti e la vendita e l’affitto delle case, specialmente delle brownstones, iniziò a calare bruscamente dopo alcune decadi.
L’ingresso nel mercato di Phillip A. Payton, creò un nuovo mercato al di fuori di questa parabola discendente. Payton era un afro-americano che si era costruito da solo e spesso viene descritto come il “padre della Harlem colorata”, perché fu lui il primo ad affittare un appartamento a gente di colore nel 1904.
Payton per avere successo, non ebbe scrupoli nello sfruttare il razzismo dilagante all’epoca. Egli descrisse con sorprendere candore, la sua prima storia di successo: “La mia prima opportunità arrivò come risultato di una disputa tra due proprietari nella W 134th Street. Per vendicarsi l’uno dell’altro, mi diedero in gestione le case per affittarle a gente di colore, cosa che riuscii a fare e successivamente fui in grado di indurre altri proprietari a darmi in gestione le loro abitazioni”.
Non è dato sapere se fosse sua intenzione o meno, ma Payton favorì l’uscita dei bianchi dal quartiere, la quale iniziò quasi immediatamente con l’arrivo dei neri ad Harlem. Nel 1930, la maggior parte dei bianchi si erano spostati in altre zone di Manhattan o negli altri boroughs del Bronx e di Brooklyn.
La partenza dei bianchi lasciò cose buone e altre decisamente meno. In base all’autorevole libro “Harlem”, di Jonathan Gill’s, mafiosi nativi di East-Harlem quali Thomas Gaetano Lucchese e “Fat” Tony Salerno, per esempio, erano responsabili dell’introduzione dell’eroina ad Harlem.
Va da sé che la comunità italo-americana di Harlem, era per lo più rispettosa della legge.
Ad es., sebbene non fosse originario di Harlem, il sindaco Fiorello La Guardia, strenuo oppositore della corruzione, iniziò la sua carriera politica come membro del congresso in rappresentanza di East Harlem e del Bronx. Il quartier generale sulla E 116th Street, diventò di fatto un centro per i servizi sociali.
Ma forse il gruppo etnico più influente che viveva ad Harlem prima dell’arrivo dei neri, erano gli ebrei di origine tedesca. Tra gli altri successi, si deve agli ebrei l’eredità di aver fatto diventare Harlem, un quartiere dei divertimenti, eredità sviluppata dai neri durante l’era d’oro del Jazz tra il 1920 e il 1930.
Il primo tra gli imprenditori ebrei attivi nell’intrattenimento fu Oscar Hammerstein I, padre del librettista musicale Oscar Hammerstein II e auto-definitosi come l’inventore del capello a cilindro.
Hammerstein immaginò la 125th Street (conosciuta oggi come Martin Luther King Boulevard) come centro d’intrattenimento, che poi effettivamente divenne fino alla II guerra mondiale, con la costruzione di due teatri: l’intellettuale Harlem Opera House e il Columbus che esprimeva gusti più popolari.
Il teatro più famoso della black Harlem, L’Apollo Theater sulla 125th St, è un diretto discendente dei teatri e delle sale da concerto pensato da Hammerstein e dai suoi compagni ebrei.
La più grande conquista culturale di Harlem ad oggi, tuttavia appartiene alla comunità nera della zona. A dare nuova energia contribuì la poesia degli afro-americani come Langston Hughes, il Rinascimento di Harlem negli anni ’20 e ’30 attirò artisti di qualsiasi genere, dalla letteratura alle arti visive al teatro, da tutti gli Stati Uniti.
Come osservato dall’Enciclopedia di New York: “scrittori e artisti si recavano ad Harlem da tutti gli USA per partecipare ad un movimento, perché offriva loro la possibilità di diventare parte di una comunità vibrante”.
La parola chiave qui è, io credo, comunità. Tranne per un lungo periodo di declino, principalmente nella seconda metà del 20° secolo, Harlem è sempre stata ed è ritornata ad essere una comunità.
Le successive ondate di gruppi etnici nel corso dei secoli che inizialmente costituirono quella comunità, sono nel corso degli ultimi decenni tornate ad Harlem, ma questa volta in modo più integrato e si spera permanente.
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